Nel XVIII libro dell’Iliade, Achille riceve da Efesto un nuovo scudo, bellissimo, decorato con varie scene. Tutte le immagini che lo abbelliscono sono state descritte nel testo omerico e tale descrizione costituisce, di fatto, una digressione, che sospende per un attimo il racconto degli eventi. Noi l’abbiamo divisa in otto parti, a seconda delle immagini via via presentate.

Nell’immagine, raffigurazione di Achille su un vaso a figure rosse (V a.C.). Particolare.

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1. L’UNIVERSO

Lo scudo che Efesto fece per Achille è diviso in cinque parti, nella prima delle quali c’è la rappresentazione dell’universo. Da notare la ripetizione degli aggettivi che indicano lo splendore di questo manufatto (brillante, scintillante). Ai greci piaceva molto tutto ciò che risplendeva!

E fece per primo uno scudo grande e pesante,
ornandolo in ogni sua parte; un bordo vi pose, brillante,
triplo, scintillante, poi una tracolla d’argento.
Cinque dunque erano le parti di quello scudo, a cui
fece molti ornamenti con somma maestria.
Vi modellò la terra, il cielo e il mare,
l’implacabile sole e la luna piena,
e tutte quante le costellazioni che incoronano il cielo,
le Pleiadi, le Iadi e la forza d’Orione
e l’Orsa, che chiamano col nome di Carro:
quella gira su se stessa e guarda Orione,
e sola non si cala nelle acque di Oceano.
Odissea XVIII, vv. 478-489 (VIII a.C.)

Nell’immagine, una possibile ricostruzione dello scudo di Achille.

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2. LA PRIMA CITTA’

Nella seconda parte sono rappresentate due città, che qui dividiamo per motivi di spazio (la seconda città la troverete nel post di domani). Si tratta di due realtà molto diverse, che sono un topos letterario: la prima, infatti, è una città in pace, dove tutto si svolge secondo le leggi, in assoluta armonia. E se per caso nasce una contesa, per risolverla si ricorre alla giustizia. La seconda è una città in guerra. Vediamo la prima delle due!

Vi fece poi due città di mortali,

belle. In una c’erano nozze e banchetti;
spose dai talami sotto fiaccole luccicanti
andavano per la città; “Imeneo!” di continuo si gridava,
giovani danzatori ballavano in tondo, e fra di loro
flauti e cetre risuonavano; le donne
in piedi ammiravano, ciascuna sotto il suo portico.
E c’era gente radunata in piazza: qui una contesa
scoppiava: due uomini litigavano per il compenso
d’un morto; uno dichiarava d’aver dato tutto,
dicendolo in pubblico, l’altro negava d’aver avuto niente:
entrambi ricorrevano al giudice, per aver un verdetto,
il popolo applaudiva entrambi, favorevoli ora a questo ora a quello;
gli araldi trattenevano il popolo; i vecchi
sedevano in sacro cerchio su pietre levigate,
tenevano in mano i bastoni degli araldi dalle voci possenti,
con questi allora si alzavano e dicevano a turno il parere;
in mezzo stavano due talenti d’oro,
da dare a chi di loro dicesse più equa sentenza.
Odissea XVIII, vv. 490-508 (VIII a.C.)

Nell’immagine, corteo nuziale su vaso attico (IV a.C.).

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3. LA SECONDA CITTA’

La seconda città è colta in un momento drammatico, mentre è circondata da schiere nemiche. Esercito cittadino ed esercito nemico si affrontano fuori dalle mura, lungo il fiume, mentre donne, vecchi e bambini sono all’interno.

All’altra città si schieravano intorno due popoli armati,
brillando nell’armi; doppio parere era gradito fra loro,
o distruggere tutto o dividere in due
la ricchezza che la bella città racchiudeva;
quelli però non obbedivano, ma s’armavano per un agguato.
Il muro, le amate spose e i piccoli figli
con animo difendevano, e con loro gli uomini gravati dalla vecchiaia;
gli altri avanzavano, sotto la guida di Ares e Pallade Atena,
entrambi in oro, indossavano vesti d’oro,
belli e grandi con l’armi, come dèi
ben visibili ovunque; gli uomini invece erano più piccoli.
E quando arrivarono dove volevano tendere l’agguato,
nel fiume, dove tutte le mandrie si abbeveravano,
qui appunto si accovacciarono, coperti dal lucido bronzo;
e v’erano un po’ più in disparte due spie dell’esercito,
a osservare quando vedessero le greggi e i pingui buoi.
Presto quelli vennero avanti, due pastori li seguivano,
che col flauto si rallegravano, non sospettando nessun agguato.
Essi, vedendoli, corsero e subito
a pezzi fecero le mandrie dei buoi, le belle greggi
di bianche pecore, e uccisero i pastori.
Ma gli altri, come udirono il gran frastuono tra i buoi
mentre sedevano in assemblea, subito sopra i veloci
cavalli balzarono, li inseguirono e li raggiunsero;
e fermatisi combattevano lungo le sponde del fiume;
gli uni colpivano gli altri con le lance di bronzo;
Lotta e Tumulto vennero alle mani e la Chera funesta,
afferrava ora un vivo ferito, ora un illeso
o un morto trascinava per i piedi in mezzo al tumulto.
Una veste portava sopra le spalle, annerita dal sangue umano.
E come fossero uomini vivi si azzuffavano e lottavano
e trascinavano i corpi senza vita degli uni e degli altri.
Odissea XVIII, vv.509-540 (VIII a.C.)

Nell’immagine, scena di guerra su un vaso di ceramica risalente al VII a.C.

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4. L’ARATURA

Alla vita cittadina, segue la descrizione del lavoro nei campi: si ara e si rivoltano le zolle di terra. È una terra nera, che fa presagire un ricco raccolto. La stanchezza dei contadini è attenuata dal vino dolcissimo che bevono ogni volta che raggiungono la fine del campo.

Vi pose anche un molle maggese, fertile campo,
largo, arato tre volte; e qui molti aratori,
volgendo in giro i buoi aggiogati, li spingevano di qua e di là:
e quando giungevano alla fine del Campo, una volta girati,
allora una coppa di vino dolcissimo in mano
poneva loro un uomo, avvicinandosi; e solco per solco rivoltavano in su,
con gran voglia di arrivare alla fine del maggese profondo.
Dietro nera si faceva la terra, pareva arata,
pur essendo d’oro; e gran meraviglia faceva.

Odissea XVIII, vv. 541-549 (VIII a.C.)

Nell’immagine, vaso greco usato per versare il vino (fine VII a.C.).
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5. LA MIETITURA

Anche il raccolto è un momento importante dell’anno agricolo. Così, lo scudo ci offre l’immagine dei contadini che mietono: chi taglia il grano con la falce, chi lo lega con legacci di paglia, chi prepara un banchetto per festeggiare il raccolto. Tra tutte queste figure, c’è anche quella del re, a cui in parte vanno i prodotti del campo: egli osserva il lavoro degli uomini “allegro in cuore”. L’annata è stata buona!

Vi pose ancora un terreno regale; qui mietitori
mietevano, con falci affilate in mano;
il grano in parte sul solco cadeva fitto per terra,
in parte i legatori lo fermavano con legacci di paglia;
tre legatori osservavano in piedi; ma dietro,
dei giovani, portando le spighe a bracciate,
le davano continuamente. Il re tra loro, in silenzio,
tenendo lo scettro, stava sul solco, allegro in cuore.
Gli araldi in disparte sotto una quercia allestivano il banchetto,
e, sacrificato un gran bue, lo imbandivano; le donne
versavano sopra molta farina bianca, pranzo dei mietitori.
Odissea XVIII, vv. 550-560 (VIII a.C.)

Nell’immagine, moneta di Metaponto con spiga, risalente al VI a.C.

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6. LA VEDEMMIA

È l’ultima fatica del lavoro agricolo: giunto il tempo della vendemmia, ragazzi e ragazze vanno per la vigna con ceste intrecciate nelle quali è raccolto “il dolce frutto”. Non mancano, in questo momento di gioia, l’accompagnamento della cetra e il canto melodioso di un giovane .

Vi pose anche una vigna, piena di grappoli,
bella, d’oro; i grappoli neri erano in alto:
si ergeva interamente su pali d’argento;
e intorno condusse un fossato di smalto e un recinto
di stagno; un solo sentiero portava lì,
per cui passavano i raccoglitori, quando era tempo di vendemmiare;
fanciulle e giovani, ingenui di cuore,
in canestri intrecciati portavano il dolce frutto
e tra loro un ragazzo con una cetra melodiosa
amabilmente suonava e cantava un bel canto
con voce delicata; quelli, battendo terra insieme,
saltellando con canti e grida sui piedi, seguivano.
Odissea XVIII, vv. 561-572 (VIII a.C.)

Nell’immagine, coppa a figure nere con scena di vendemmia (fine VI a.C.)

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7. I PASCOLI

Dall’agricoltura si passa all’allevamento. Pastori e vacche sono raffigurati in oro (anche il materiale prezioso, come oro e argento, era molto apprezzato dai greci). Alcune muggiscono, mentre vengono portate al pascolo, quindi dobbiamo pensare che siano forgiate nel metallo con il collo un po’ allungato. La scena, che parrebbe idilliaca, viene turbata da due leoni, che sbranano un toro tra i latrati dei cani.

E vi pose una mandria di vacche dalle corna dritte;
le vacche eran fatte d’oro e di stagno,
muggendo dalla stalla si portavano al pascolo
lungo il fiume sonoro e i pieghevoli giunchi;
pastori d’oro insieme alle vacche avanzavano,
quattro, e nove cani dai piedi rapidi li seguivano.
Ma fra le prime vacche due orrendi leoni
afferravano un toro muggente; e quello levando alti muggiti
veniva portato via; lo cercavano i giovani e i cani,
ma quelli, strappata già al gran toro la pelle,
trangugiavano le viscere e il sangue nero; i pastori
invano li inseguivano, incitando i cani veloci:
questi veramente si astenevano dal mordere i leoni,
ma, stando molto vicino, abbaiavano e li schivavano.
Poi vi fece un pascolo lo Storpio glorioso,
in bella valle, grande, di pecore candide,
e stalle e capanne e recinti coperti.
Odissea XVIII, vv. 573-589 (VIII a.C.)

Nell’immagine, coppa corinzia con raffigurato un cane (VII a.C.)

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8. GIOVINETTI DANZANTI E INFINE L’OCEANO

Nelle due parti più esterne dello scudo, Efesto mette un gruppo di danzatori e danzatrici e le onde sinuose dell’oceano a chiudere il tutto. Le figure danzanti sono vestite di sottili veli (riusciamo a immaginare come sia stata resa la sottigliezza del tessuto?). Sono agilissime e volteggiano veloci, mentre la gente, intorno, osserva.

E una danza vi modellò lo Storpio glorioso;
simile a quella che nella vasta Cnosso un tempo
Dedalo fece ad Arianna dai riccioli belli.
Qui giovani e fanciulle che valgono molti buoi
danzavano, tenendosi le mani ai polsi:
queste avevano veli sottili, e quelli tuniche
ben tessute vestivano, lievemente splendenti d’olio;
le une avevano belle corone, gli altri avevano spade
d’oro, legate a cinture d’argento;
essi talvolta correvano con piedi esperti,
agili, come la ruota ben fatta tra le palme
un vasaio, seduto, mette alla prova per vedere se gira veloce;
altre volte poi correvano in file, gli uni verso gli altri.
E c’era gran gente intorno alla danza graziosa,
tutti contenti; due acrobati nello stesso momento,
dando inizio alla festa, roteavano in mezzo.
Infine vi fece la gran forza del fiume Oceano
lungo l’orlo più esterno del solido scudo.

Odissea XVIII, vv. 590-607 (VIII a.C.)

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Nell’immagine, particolare di scena di danza con tamburo su vaso a figure rosse (IV a.C.).

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